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Crowdfunding culturale. L’Arte combatte il degrado.

Da qualche anno si assiste  ad una sempre maggiore ri-appropriazione di spazi pubblici o privati per destinarli alla produzione culturale: da gallerie d’arte allestite su barche, ex bunker o stabilimenti industriali, l’arte porta nuova vita in luoghi abbandonati o dal passato complicato, per la riqualificazione urbana e la rigenerazione culturale e sociale.

Si tratta soprattutto di arte di strada, la meglio definita street art. E’da qui che è partito il  fenomeno  di riqualificazione di spazi urbani o periferici e la diffusione di un concetto di arte pubblica, condivisa e democratica.

Fra i moltissimi esempi di successo posso ricordare i lavori di decorazione di spazi pubblici come quelli della metropolitana di Stoccolma e dell’Underbelly di Parigi, galleria sotterranea e “segreta” decorata da una decina di street artist che hanno trasformato le pareti del tunnel  in  un percorso suggestivo fatto di murales davvero molto gradevoli.

Ma le iniziative più dirompenti  sono quelle che interessano luoghi veramente non convenzionali: gli artisti norvegesi Urd Pedersen e Liv Ertzei nel 2015 hanno aperto Slursula, una galleria su una barca attraccata al porto di Oslo; mentre in Bosnia troviamo Tito’s ARK è un ex-bunker di 6.500 metri quadri, costruito per proteggere il presidente Tito da possibili attacchi nucleari e oggi trasformato in spazio per mostre.

Anche qui da noi ci sono iniziative interessanti.

Da poco, a Torino,  è partito il bando Portici d’Artista, un progetto concepito per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti dal Comitato Rilanciamo Via Sacchi insieme al Politecnico di Torino DAD e dedicato alla trasformazione dei portici ottocenteschi di una via centralissima, purtroppo degradata a causa della chiusura delle attività commerciali e della vicina Stazione.

Di cosa si tratta?

Il bando Portici d’Artista prevede che, una volta terminato il processo di selezione,  gli artisti   vincitori creino una relazione con le persone che abitano e lavorano negli stabili dove oggi si trovano le saracinesche  abbassate e  che sono  disponibili a  prestare queste inconsuete  tele metalliche per essere trasformate.

L’idea di base è quella di arrivare a realizzare opere che siano  in sintonia con il genius loci del luogo, armonizzate con i desideri e il gusto di chi ci abita e, contemporaneamente,  capaci di rendere   gradevole il passaggio di chi transita e, se possibile, lo incentivino  proprio grazie all’abbellimento del luogo stesso.

Portici d’Artista è  il primo passo di un progetto molto più articolato e che nasce e prende forza proprio grazie alla comunità dei residenti della zona in cui si trova Via Sacchi e dal loro desiderio di riappropriarsi del territorio in cui vivono.

Lo strumento selezionato  per creare e rafforzare le relazioni con i cittadini è la campagna di crowdfunding lanciata su www.innamoratidellacultura.it il cui obiettivo finale, oltre ad ottenere una somma da mettere a disposizione per retribuire il lavoro degli artisti ed acquistare il materiale, è proprio quello di rafforzare il legame fra chi decide di partecipare alla campagna e chi invece metteràa disposizione la sua creatività e il suo talento per rendere Via Sacchi un luogo migliore.

Come ogni crowdfunding che si rispetti, anche per Portici d’Artista sono previste delle ricompense per ringraziare chi partecipa con una donazione. Parliamo di una scelta fra i bozzetti realizzati dagli artisti e anche di sconti nei negozi di Via Sacchi.

Psss, spoiler, in Via Sacchi potete trovare una delle migliori pasticcerie della città… in tempo di pandori e panettoni, farsi sfuggire lo sconto è davvero un gran peccato…

Partecipa su https://www.innamoratidellacultura.it/projects/portici-dartista/

Per saperne di più puoi contattare il Comitato alla mail rilanciamoviasacchi@gmail.com

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Vuoi iniziare anche tu una campagna di crowdfunding? Scrivi a progettinnamoratidellacultura.it

Emanuela Negro Ferrero www.innamoratidellacultura.it

A Palermo Capitale la Cultura si #Manifesta.

Reduce da una settimana a Palermo torno a casa con gli occhi ricolmi di  bellezza e il cuore vibrante per la calorosa accoglienza ricevuta.

Sentirsi dire dal barista, il campanaro, il giornalaio, il taxista, il cameriere del ristorante, il vigile urbano e il   conduttore di carrozze ( e da molte altre persone) “benvenuta a Palermo, torna presto!” per una torinese abituata al “lasmestè” scontroso  e ruvido dei piemontesi  (vivi e lascia vivere)   è stato  qualcosa di veramente  straordinario.

Portafortuna a Palermo. Appeso allo specchietto retrovisore si procede a tutta birra verso Manifesta2018

Ma è proprio questo straordinario che fa di Palermo una città unica al mondo. Lì il contrasto regna sovrano. Antichi e sontuosi palazzi  abitati da principi e principesse convivono pacificamente a fianco di  orrori di cemento stile  anni cinquanta.  Si passa da visitare pezzi di città perfetti , ordinati e puliti e quasi sembra di essere a Zurigo,  e in pochi metri ritrovarsi ad  attraversare  quartieri  completamente distrutti e abbaraccati.

Mi sono chiesta quale fosse l’ingrediente segreto in grado di  tenere  insieme tutto questo curiosa armonia disarmonica. Il sorriso della gente? L’allegria? La capacità di accogliere?  Mi ha colpita il  melting pot di razze  e, ancora di più, mi ha stupito l’assenza di tensione. Integrazione? Esperimento riuscito. A Palermo ho respirato integrazione.

Per il centro storico a fianco dei negozi di pasticceria con in vetrina la pasta di mandorla assassina ,convivono negozi indiani, pachistani. Italiani, africani, indiani. Tutti insieme. Pacificamente.

D’altra parte in Sicilia le invasioni – e successive integrazioni- ci sono sempre state.  Primi i greci,  i romani, gli arabi, i normanni,  gli angioini , i Borboni e,  in ultimo… i piemontesi. Ogni dominazione ha lasciato profonde tracce. Culturali, etniche, linguistiche. Tutte presenti e mescolate fra di loro così come oggi anche le persone e le razze sono mescolate.

A Palermo #innamoratidellacultura al Teatro Garibaldi per Manifesta2018

Il sindaco Orlando durante il colloquio- intervista mi ha spiegato che il simbolo di Palermo Capitale della Cultura è formato da quattro P : fenicia, greca, araba, ebraica perché queste sono le quattro anime della città. Il logo, colorato e aereo, è stato creato dai ragazzi dell’Accademia di Belle Arti. Perché è proprio la creatività l’ossigeno di cui si nutre la città. Con un  “palinsesto” composto da migliaia di eventi culturali. E la decisione di organizzare Manifesta2019 in concomitanza all’essere Capitale della Cultura. Una sottolineatura interessante perché a Palermo la cultura ha veramente permeato la città. Dentro e fuori.

Pupi siciliani a Palermo per Manifesta2018

Non ho effettuato alcun giro turistico tradizionale. Mi sono fatta trasportare dal flusso incessante di vernissages, inaugurazioni, installazioni , conversazioni, colazioni e degustazioni con un movimento extrasensoriale che difficilmente dimenticherò.

A Palermo ho mangiato, bevuto, annusato, toccato, degustato, riso, cantato, ballato. Mi sono incantata visitando antichi palazzi nobiliari ricchi di tesori. Stupefatta ho goduto dell’arte contemporanea inserita nei luoghi meno consueti: chiostri abbandonati, antichi opifici, l’ex banco dei pegni, l’orto botanico.  Arte raccontata con passione ed enfasi da artisti, galleristi e organizzatori con  toni lontani anni luce dal chiacchericcio mondano ed elitario delle fiere che sono solita visitare.

Orto Botanico di Palermo per Manifesta2018 e Capitale della Cultura.

Qualche suggerimento? Imperdibile una visita all’orto botanico, luogo dell’anima che per Manifesta2018 ospita opere interessanti come, per citarne una, quella di Kahlil Rabah dal titolo “Relocatio. Among Other Things” , un accumulo di oggetti diversi raggruppati per tipologia dentro al Padiglione Tineo.

Massimo Valsecchi e le scatole con i volumi della antica libreria.

Orgoglio cittadino e simbolo della rinascita culturale è stato l’acquisto di Palazzo Butera da parte dei coniugi Valsecchi, collezionisti milanesi che, oltre a portare lì la loro collezione, ne faranno la loro dimora e un centro polifunzionale dedicato alla formazione manageriale, agli eventi culturali e alle mostre. L’imponente edificio del 1700 è stato sottoposto a completa ristrutturazione e verrà consegnato nel 2018 proprio per Manifesta2018.

Ho avuto il piacere di dialogare con Massimo Valsecchi e si, posso confermarlo. I mecenati esistono veramente e Valsecchi è uno di  loro. Un  vero #innamoratodellacultura.

Il restauro di Palazzo Butera è un forte indicatore del risveglio della  città ad un nuovo Rinascimento.. Come ormai molti iniziano a dire, lo start arriva dalla dalla cultura. Intesa  come motore di rigenerazione. Sociale prima che di qualsiasi altro aspetto e poi economico, estetico, architettonico, turistico, economico. Vi sembra poco? A me no.

Emanuela Negro-Ferrero  www.innamoratidellacultura.it

Installazione realizzata da Franco Noero per Manifesta 2019

Brut, marginale, outsider. Irregolari, eccentrici, solitari. In mostra a Torino. Stay Tuned.

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Individuale, senza ascendenze e discendenze. L’Outsider Art è una variabile impazzita che mette in crisi gli strumenti consueti e classificatori della critica d’arte. Ma, provenendo dall’interiorità dell’autore, bussa alla parte più profonda di noi, lasciando spesso riemergere forme e simboli antichi e universali”.  Questa è la riflessione che arriva dal sito dell’Osservatorio “Outsider Art” dell’Università di Palermo. Un ente di ricerca istituito nel 2008 per esplorare, diffondere e sostenere l’universo composito dell’arte “irregolare”.

Di che cosa si tratta?

È l’arte di chi non è artista. Perlomeno, di chi non è artista in forma ufficiale. Questo tipo di arte, che nasce da una pulsione profonda di chi non sa di avere ina vocazione e vuole liberare emozioni, fobie, fantasie. Spesso usando tecniche e materiali inconsueti. Un secolo fa il critico Jean Dubuffet la battezzò “Art Brut” e nel 1972 Roger Cardinal la rinominò “Outsider Art
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Chi sono questi artisti?

Sociopatici, autistici, disabili, psicotici, bambini, visionari, analfabeti o vittime di traumi, ex tossicodipendenti. Ma anche persone comuni. Tutti accomunati dalla produzione artistica creata per sé stessi, nata per definire il proprio mondo interiore in maniera catartica e non speculativa. Già Paul Klee e Pablo Picasso andarono alla ricerca di un’arte spontanea, per certi versi primitiva. Espressionismo significa creare partendo dalla spontaneità e dando spazio alle emozioni profonde, alle intuizioni. Picasso si appassiona a strane produzioni tribali, Kandinski è attratto dai disegni popolari. Gauguin si innamora dei mari della Polinesia. Il legame fra arte e pazzia è quindi molto stretto. Genio e follia sembrano essere l’elemento indispensabile perché un artista possa essere definito tale ma non è detto che la pazzia produca necessariamente arte.

Arte irregolare

Arte irregolare

Sulla scia di tutto questo, a Torino, crogiuolo creativo d’eccellenza, la storica Associazione Arte Giovane propone, dal 22 di gennaio,  la mostra “Orizzonti Diversi”.  Curata da Ivana Mulatero,  presenta una selezione di opere di artisti regolari e affermati insieme a opere di artisti irregolari. Non possiamo anticipare altro. Partirà una campagna d crowdfunding. Il cui ricavato servirà in parte per sostenere la mostra e in parte verrà devoluto.

#Stay Tuned #donate #share #love
Emanuela Negro-Ferrero – enf@innamoratidellacultura.it

La Grande Madre. Una mostra, a Milano, per celebrare il potere della donna.

La Grande Madre.

La Grande Madre. celebra il potere della donna

Venerata e invocata con nomi diversi da popolo a popolo, la Dea incarnava sempre e ovunque il potere femminile di dare la vita, era la Madre dal cui grembo ogni forma di vita scaturisce e a cui alla morte ritorna per poi ancora rinascere, come nell’eterno ciclo della vegetazione. Brigid, Nimue, Durga, Verdandi, Aa, Ambika, Cerere, Astarte, Lakshmi, Urd, Hel, Maman Brigitte, Oya Yansa, Skuld, Sedna, Kali. E ancora, Diana, Artemide, Athena, Venere, Tara, Yemanya, Isis, Sekhmet. I nomi della Dea sono centinaia presenti in ogni religione e tradizione.
la Grande madre Oggi, 25 agosto, a Milano inaugura “La Grande Madre”a Palazzo Reale. La mostra di Fondazione Trussardi in collaborazione con il Comune di Milano ideata per essere parte integrante di Expo in Città è una grande collettiva con opere di 127 fra artiste e artisti del Novecento curata da Massimiliano Gioni. Si tratta di un racconto iconografico della maternità e il tema scelto non è frutto del caso. Il titolo di Expo recita Nutrire il pianeta. Energia per la vita. Cosa ci può essere meglio di una madre per riunire la vita, il nutrimento e l’umanità?
Si tratta di una mostra grandissima che si estende lungo circa 2mila metri quadri al piano nobile di Palazzo Reale e ospita opere di artisti ultra famosi come Salvador Dalì, Frida Kahlo e Man Ray e figure meno note quali Niki de Saint Phalle, Louise Bourgeois e Mina Loy le cui carriere hanno raccontato un femminile per cui la maternità era problematica, negativa, oscura.
La prima parte del percorso si apre con i ritratti di idoli antropomorfi della Preistoria. Qui l’immagine della Grande Madre emerge in tutta la sua prepotenza come simbolo femminile di fertilità. Un’immagine archetipica che mi colpisce sempre perché la ritengo fonte di ispirazione per ogni donna. Una sezione espositiva è dedicata alle “avanguardie storiche”, in particolare al Futurismo, con opere, tra le altre, di Benedetta, Umberto Boccioni, Valentine De Saint-Point, Mina Loy, Marisa Mori e Regina; al Dada, con il riferimento al mito della donna meccanica attraverso le opere di Francis Picabia, Marcel Duchamp, Man Ray, Sophie Taeuber-Arp e Hannah Höch; e al Surrealismo con, tra l’altro, la presentazione di 50 collage originali di Max Ernst dalla serie The Hundred Head Headless Woman, e opere e documenti di André Breton, Hans Bellmer, Salvador Dalí, Leonora Carrington, Frida Kahlo, Dora Maar, Lee Miller, Meret Oppenheim, Dorothea Tanning. Marinetti, nel famoso “Manifesto Futurista” denigra la donna e il femminile. Il salto di consepovelezza è immenso e ben evidente nella seconda parte della mostra. Gioni seleziona i lavori di Louise Bourgeois, intorno a cui si dispongono artiste degli anni ’60 e ’70 quali, per esempio, Magdalena Abakanowicz, Ida Applebroog, Lynda Benglis, Judy Chicago, Eva Hesse, Dorothy Iannone, Yayoi Kusama, Anna Maria Maiolino, Ana Mendieta, Marisa Merz, Annette Messager, Carla Accardi, Joan Jonas, Yoko Ono, Martha Rosler, Sherrie Levine, Ketty La Rocca.
frida khaloSi arriva quindi agli anni ’80 con Katharina Fritsch, Cindy Sherman e Rosemarie Trockel, e agli ’90 di Rineke Dijkstra, Sarah Lucas, Catherine Opie, Marlene Dumas, Pipilotti Rist e le post-umane Nathalie Djurberg e Kiki Smith. La selezione delle opere più vicine a noi comprende la la prima presentazione in Italia della serie di ritratti realizzati da Nicholas Nixon, Brown Sisters.
Molto interessante la performance Teaching to walk, dell’artista slovacco Roman Ondák a cui si affianca la open call su Instagram con l’hashstag #TeachingToWalk. E’ possibile postare e condividere le foto dei primi passi propri e degli altri per testimoniare il distacco fisico dalla “grande Madre”. Tutte le foto saranno raccolte in un album che potrà essere sfogliato sul sito www.lagrandemadre.org. La mostra è a pagamento. Da visitare.
Emanuela Negro-Ferrero – enf@innamoratidellacultura.it – twitter@emanegroferrero

Modigliani in mostra alla Gam di Torino. Molto bohèmien.

 La mostra è prodotta da Skira e il curatore, Jean Michel Bouhours, ha selezionato con estrema perizia solo 12 disegni di Modigliani e due sculture.

La mostra è prodotta da Skira e il curatore, Jean Michel Bouhours, ha selezionato con estrema perizia solo 12 disegni di Modigliani e due sculture.

Non bisogna farsi ingannare dal titolo. La mostra dedicata a Modigliani esposta da venerdì – 13! –  alla Gam di Torino  con il titolo “Modigliani e la Bohème di Parigi”  e prenotabile sul sito www.modiglianitorino.it su 90 opere, solo 8 pochine sono del grande maestro livornese. La mostra merita, molto bella e interessante, ma la sezione più ampia è dedicata alla Parigi del periodo bohèmien e offre quindi tutt’altro tipo di contenuto.  La mostra è  prodotta da Skira e il curatore, Jean Michel Bouhours, ha selezionato con estrema perizia solo 12 disegni di Modigliani  e  due sculture.

Il percorso, che inizia con Modigliani, si snoda fra pareti e divisori azzurro carta da zucchero, con opere intense, colorate e affascinanti di grandi artisti :Picasso, Chagall, Fattori Utrillo, Soutine, Brancusi, Dufy,

Il percorso, che inizia con Modigliani, si snoda fra pareti e divisori azzurro carta da zucchero, con opere intense, colorate e affascinanti di grandi artisti :Picasso, Chagall, Fattori Utrillo, Soutine, Brancusi, Dufy,

Amare la cultura significa anche e soprattutto andare alle inaugurazioni . Sono occasioni preziose perché consentono di  stazionare davanti alle opere senza incorrere nei rimbrotti di chi attende il suo turno.  Di  incontrare  amici e conoscenti in un clima informale. Interessante e misteriosa la   testa femminile. ,Ricorda in maniera impressionante  quella del famoso scherzo organizzato anni fa proprio a Livorno da un gruppo di studenti.  Guardando bene e leggendo le spiegazioni, in effetti si nota   la forte influenza  dell’arte africana, nella stilizzazione e semplificazione estrema dei tratti. Il collo lungo, gli occhi a mandorla.  Modigliani nel suo purismo è molto africano.  Il percorso, che inizia con bellissimi ritratti di Modigliani, si snoda fra pareti e divisori di un bel colore azzurro carta da zucchero e continua, dopo le sculture, con le opere intense, colorate e affascinanti di grandi artisti :Picasso, Chagall, Fattori Utrillo, Soutine,  Brancusi,  Dufy.

testa femminile che, non so se mi sbaglio, ricorda molto quella del famoso scherzo organizzato anni fa proprio a Livorno

testa femminile che, non so se mi sbaglio, ricorda molto quella del famoso scherzo organizzato anni fa proprio a Livorno

La  natura morta di Setge Feral è un vero incanto . A onore del vero, non si tratta di una  mostra sul periodo bohèmien. Entrando ci si aspetta Modigliani. Non è andata così. Non eravamo pronti, non avevamo letto niente per prepararci. L’unica in casi come questo è di  andare a sensazione.  Forse è poprio questo l’approccio corretto all’arte. Allora, se emozione deve essere, che le opere in mostra siano meno numericamente parlando e più artisticamente divagando.

redazione – www.innamoratidellacultura.it

Shit and Die. Artissima 2014 ospita un Maurizio Cattelan cucito su misura per Torino.

Shit or die, la mostra di Maurizio Cattelan ad Artissima 2014

Shit or die, la mostra di Maurizio Cattelan ad Artissima 2014

Maurizio Cattelan ha scelto un titolo irriverente e provocatorio tratto da uno dei famosi slogan al neon di Bruce Nauman, per l’edizione 2014 di One Torino.

La sede scelta dall’artista milanese è lo storico Palazzo Cavour, un  magnifico  edificio  nel centro cittadino con ampi saloni affrescati e un grande scalone monumentale. L’artista ha ideato insieme a due giovani curatrici, Myriam Ben Salah e Marta Papini, un percorso diviso in sette sezioni differenti, ognuna dedicata  a un aspetto peculiare della città .

Shit or die mostra di Maurizio Cattelan ad Artissima 2014

Shit or die mostra di Maurizio Cattelan ad Artissima 2014

La mostra è composta da un insieme eterogeneo di oggetti d’arte, pezzi di design e opere prese un po’ da collezioni private e in parte dalle istituzioni cittadine e altre opere create appositamente per la mostra e che richiamano il tema esistenziale della vita e della morte. L’allestimento, molto complesso,  presenta lavori di artisti affermati accanto a quelli di giovani emergenti.

La mostra inaugura il 5 novembre e termina l’11 gennaio.

www.artissima.it

Redazione – www.innamoratidellacultura.it

Al Castello di Rivoli, il “Ritratto dell’artista da giovane”

Pillole d’arte

Quest’anno, il Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea festeggia i suoi trent’anni e numerosi sono gli eventi che accompagnano questo grande evento.

Tra le rassegne che avvicinano il museo alla data fatidica, abbiamo  trovato molto interessante la mostra “Ritratto dell’artista da giovane“, un’edizione speciale della Borsa per Giovani Artisti Italiani dove, per la prima volta, vengono presentati insieme i lavori dei candidati più meritevoli che hanno preso parte alla Borsa. Francesco Arena, Rossella BiscottiLara Favaretto, Marzia MiglioraMarinella SenatoreSeb Patane, sono solo alcuni dei nomi degli artisti protagonisti.

Tra incontri e similitudini, distanze e differenze, il progetto espositivo, che prende in prestito il titolo dall’omonimo libro di James Joyce, ci invita ad esplorare il percorso seguito dai vari artisti nel tempo e, soprattutto, ci offre un ‘ritratto’ dell’arte italiana negli ultimi dieci anni e della sua evoluzione.

Da un lato, c’è la storia della Borsa che riflette anche quella del Museo e, dall’altro, si ritrova l’impegno di un’iniziativa pensata per sostenere la ricerca artistica e promuovere l’arte italiana, in un contesto come il nostro, dove le difficoltà e i problemi che s’incontrano per ‘aiutare’ la cultura a crescere sono sempre più numerosi.

Vi lasciamo  con alcune foto della mostra, che potrete vedere fino al 21 settembre.  ☛  Qui tutte le info sul progetto, a cura di Marcella Beccaria.

Ritratto dell'artista da giovane Ritratto dell'artista da giovane Ritratto dell'artista da giovane Ritratto dell'artista da giovane Ritratto dell'artista da giovane Ritratto dell'artista da giovane 07_rivoli

Una rete d’arte internazionale per Torino e una grande mostra nel 2015 per Joan Mirò

Pillole d’arte

È fresca la notizia che il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid e i Musei di Torino sigleranno un accordo pluriennale di cooperazione.

Torino fa rete non solo all’interno con un solido sistema di arte contemporanea, ma anche all’esterno, ampliando le proprie relazioni con le principali istituzioni museali internazionali, tra cui rientrano anche l’Ermitage di San Pietroburgo, il Guggenheim e il Metropolitan di New York, il Musée d’Orsay di Parigi, il British Museum di Londra e molti altri.

La collaborazione con il museo madrileno porterà in città nel 2015 Joan Miró, con una mostra che ospiterà 60 opere, molte delle quali mai uscite dai confini spagnoli. Finalmente a Torino potrò rivedere uno dei miei artisti preferiti! Ma non finisce qui, perché altre cooperazioni nasceranno da questo accordo, tra cui quella della Casa del Lector con il Circolo dei Lettori, della Cineteca nazionale con il Museo del Cinema, del Centro de arte contemporanea con Artissima e tra gli Archivi delle due città. E ancora, tra gli assessorati alla cultura si avvieranno anche programmi di scambio di giovani artisti e iniziative comuni di promozione turistica.

L’arte si fa strada, il 2015 è in arrivo e la rete è sempre più forte. Segno che la collaborazione a sostegno della cultura funziona, sempre.

Pinot Gallizio. Una sorpresa alla GAM

Pillole d’arte

Quella di Pinot Gallizio alla GAM è una mostra intima, privata.
Profondamente espressiva, fatta di gesti forti. Rumorosa. Quasi Assordante. Il nero domina la scena, la luce se ne sta in disparte. Eppure è tutto così chiaro… L’arte sembra sciogliersi nella notte, fino a fondersi con essa, risucchiata da una materia viva e pulsante.

Questa mostra è davvero una sorpresa, proprio come suggerisce il titolo del progetto in cui rientra, “Surprise“, un interessante ciclo espositivo dedicato alla scoperta della ricerca artistica torinese tra gli anni Sessanta e Settanta e curato da Maria Teresa Roberto.

A Pinot Gallizio è dedicato il primo appuntamento del 2014, per celebrare il cinquantesimo anniversario della morte, avvenuta mentre l’artista stava preparando la sala personale alla Biennale di Venezia del 1964.

Pinot Gallizio

Pochi anni prima, tra il 1962 e il 1963, la sua pittura si aprì a uno sguardo insieme geologico e cosmico, in cui la sperimentazione materica si traduceva direttamente in invenzione pittorica. La mostra alla GAM, organizzata in collaborazione con l’Archivio Gallizio di Torino, si sofferma proprio su quel periodo che vide la nascita del ciclo delle Notti di Cristallo in cui rientra anche la Notte barbara, un’opera di grandi dimensioni ora presente nel percorso delle collezioni del museo. È una tela fantastica, da poco restaurata, che ci lascia intravedere un paesaggio dinamico e quasi fantascientifico, popolato da bestie meccaniche.

Ecco, se ancora non avete fatto un giro tra le collezioni della GAM, questa potrebbe essere l’occasione giusta. Bisogna ritagliarsi un bel pomeriggio libero e andare. Per godersi interessanti e inediti dialoghi d’arte.

Intanto, vi lascio con un’anteprima video della mostra di Gallizio, “Ultime Notizie” (a cura Blog ContemporaryArt Torino Piemonte).

Pillole d’arte nelle puntate precedenti:

– Abbiamo amato tanto la rivoluzione

– Ron Arad. Let’s Drop It

– Milano Pop. Warhol da urlo a Palazzo Reale

– Ray Caesar in mostra a Torino

– Made in Italy

– Frida Kahlo. Quando la mostra è un successo ancora prima di essere inaugurata

Made in Italy. La Cina è vicina. Anzi, la Cina siamo noi.

Pillole d’arte

Strepitosa inaugurazione da Interno Cortile di Silvia Tardy.

L’installazione “made in Italy” di Luca Razzano, curata da Diego Bionda, mi ha colpito dritto al cuore. Lo spazio di Interno Cortile, bellissimo, raccolto in mezzo ai caseggiati , era stracolmo di persone. Ma, soprattutto, di duemila bambole realizzate con sacchi di juta. Le bambole, rappresentazione di noi esseri umani, crescono e crescono dappertutto, sul pavimento, sui muri, quasi a voler esplodere dalle vetrine di plexiglas appese lungo le pareti della galleria.

Made in Italy

 

In fondo, in alto, la scritta “made in Italy” in cinese. Perché in cinese? Perché i cinesi siamo noi. L’avidità dei produttori italiani, mai sazi di guadagnare, ha trasferito gran parte del Made in Italy in Cina. Costo del lavoro e di produzione inferiori, tutele e controlli quasi inesistenti hanno spinto gli imprenditori nostrani verso una delocalizzazione selvaggia.

Made in Italy

Il risultato è sotto agli occhi.  Bambole, uomini anzi, risorse umane calpestate, intrappolate. In tutti i casi, disumanizzate. Perché questo è quello che c’è oggi nell’ambiente di lavoro italiano. Il lavoro è andato in Cina e i cinesi siamo noi. Migliaia di persone, di giovani, vedono soffocate le loro speranze, i loro sogni, dall’avanzata inesorabile della crisi economica. Incarichi in chiamata, impieghi in affitto, una finta flessibilità più simile al caporalato che non alla libera circolazione delle risorse. Leggo sulla cartella stampa che Luca Razzano, attraverso il programma Human Resources, vuole riportare l’attenzione su concetti quali risorsa in termini di bene prezioso e umano, valore identitario e personale, che collide completamente con l’indifferenziazione progressiva del lavoro fino al punto zero attuale, l’asticella sotto cui non si può scendere.

Oggi, chi si avvicina al mondo del lavoro si piega a regole di mercato inimmaginabili fino a qualche decennio fa, frutto di un liberismo economico applicato, anzi, distorto, da governi guidati unicamente dalla logica del profitto. L’head hunter attuale è più simile al cacciatore di schiavi di coloniale memoria che al responsabile preposto al collocamento di profili altamente qualificati. Sono uscita pensierosa. Ho due figlie. Si affacciano su un mondo complicato, difficile.

 Leggi anche:

Internocortile. Temporary Exhibitions for the Best of Italian Fashion Design