Emanuela Negro Ferrero

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Che cosa fa la differenza? L’innovazione.

Mi sembra quasi di scrivere una bestemmia: il marketing è morto. Perché quello che oggi fa la differenza per le aziende, sia grandi che piccole, non è il marketing ma la cultura.

Wikipedia definisce il marketing come “un ramo dell’economia che si occupa dello studio descrittivo del mercato e dell’analisi dell’interazione del mercato e degli utilizzatori con l’impresa. Il termine prende origine dall’inglese market (mercato), cui viene aggiunta la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l’azione sul mercato stesso da parte delle imprese.”

Questo andava bene prima. Oggi è tutto cambiato. Per entrare nel cuore della gente ci vanno azioni diverse che partono da un movimento, e basta guardare come si muovono Apple, Google e IBM.

Ogni azienda lungimirante, se vuole crescere, deve avere una mission, una vision e valori che danno una direzione al business. Il mondo oggi è interdipendente e interconnesso e ognuno vuole sentirsi protagonista. Creando una strategia chiara e uno scopo, le persone stesse all’interno e all’esterno dell’azienda vengono spinte ad innovare.

La creazione di un movimento culturale, opposto quindi a una campagna pubblicitaria tradizionale, è un modo completamente nuovo di fare marketing. Si inizia spingendo le persone a definire il perché dell’esistenza dell’azienda e dove vogliono che sia il business. Poi, le persone stesse condividono la loro passione con gli altri attirando clienti e partner.

La morale? Dimentichiamoci del marketing. Avanti a creare una cultura in grado di permettere l’innovazione. Il business ringrazierà per molti e molti anni.

La prima impressione è quella che conta. Allora, facciamola contare.


A chi non è mai successo? Sei lì sulla porta. Tiri un bel respiro. Dai un’aggiustatina alla giacca, un colpetto ai capelli e via. Eccoti dentro una stanza piena di sconosciuti. Speranza, nervosismo, attesa. Ma che cosa rispondi quando il primo ti stringe la mano e ti chiede: “Lei di che cosa si occupa?”. Uhuhu. In tutta onestà, sei proprio certo che la tua risposta ogni volta sia il massimo dell’appeal? Pensaci, perché spesso moltissime persone – e non solo tu – lasciano scivolare via una bella opportunità per catturare l’attenzione, magari quella di un nuovo cliente. Eppure basta poco. La risposta “mi occupo di comunicazione”, nel mio caso banale, può e deve essere arricchita e costruita in maniera tale da diventare una vera e propria presentazione efficace.

Perché l’uomo, ricordiamocelo bene, è un animale curioso. E nulla aumenta la sua curiosità più di qualcosa di strano, bizzarro e inconsueto.

Una semplice presentazione può così trasformarsi in un potente veicolo di comunicazione del proprio Personal Brand. Come? È semplice:

  1. trova una frase corta che definisca quale beneficio porti ai tuoi clienti. Qualcosa come “ incoraggio”, “stimolo”, “nutro, “creo”, “esploro” “genero”, “spingo”.

  2. Descrivi in una sola parola chi sono i tuoi clienti: “giovani cantanti”, “donne in carriera, “amanti della buona cucina” , “mamme”.

  3. Trova una o due parole che riescano a definire il risultato che il tuo cliente vuole ottenere. Deve essere qualcosa di garbato e anche un po’ vago. Per esempio, prova ad usare espressioni del tipo “sembrare vent’anni più giovane” al posto di “dimagrire”, oppure “attrarre la giusta attenzione” invece di “cercare marito”.

  4. Prova a mettere tutto insieme. Verrà fuori la tua frase di presentazione. Corta, divertente, intrigante, efficace.

    Nel mio caso, tempo fa ho scelto il claim in inglese “turn ideas into real”. Perché mi sembra più intrigante dire a uno sconosciuto che mi occupo di concretizzare idee piuttosto che dire che mi occupo di marketing. Non so se ho reso l’idea.

    La risposta che solitamente mi arriva è: “Davvero? In che senso?”. Il ghiaccio è rotto.

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“World Masters Games”. Un oro per il turismo

Torino di nuovo alla ribalta. Di nuovo Olimpiadi. Di nuovo festa. Di nuovo visitatori da ogni parte del mondo.

Il Turismo – questa volta sportivo – ha dimostrato ancora una volta che un grande evento è motore di crescita economica e di divertimento. Perché li abbiamo visti tutti con il loro cartellino al collo chiedere informazioni, sedersi sulle panchine o per terra; consumare pasti e bevande nei dehors del centro, oppure sperdersi in periferia. Secondo i calcoli di Turismo Torino, i World Master Games hanno portato 32mila persone, che hanno preso d’assalto i chioschi del capoluogo e del resto della provincia dedicati alle informazioni per i turisti. Le domande più frequenti? Trasporti, eventi cittadini, musei. Il tanto criticato autobus turistico City Sightseeing ne ha caricati oltre 3100. Di questi, l’80 per cento stranieri, esattamente il doppio di passeggeri rispetto agli stessi giorni dell’anno scorso.

Un successo per gli alberghi, tutto sold out, anche in Val di Susa, nonostante la Tav e i pronostici funerei che davano le comunità alpine deserte per la stagione estiva. Stesso successo anche nella zona del Canavese: a Ivrea e Candia si tengono le gare di kayak e di canoa. L’ufficio del Turismo e la Provincia hanno registrato una media di 70 contatti al giorno di atleti e accompagnatori provenienti principalmente dalla Repubblica Ceca, Germania, Nuova Zelanda, Brasile, Francia e Russia.

La Cultura? Qui volevo arrivare io. Musei pieni. Code come a Palazzo Grassi ai tempi d’oro e, quindi, lavoro. Per taxisti, ristoratori, baristi, negozianti, albergatori; per le guide turistiche e per tutte le persone che, in un modo o nell’altro hanno beneficiato dell’evento. Mi chiedo allora che cosa stia aspettando il Governo. Il tormentone dell’Imu prende tutta la scena, ma l’Italia – ho rivisto ieri sera “Girlfriend in a Coma” – ha un assoluto bisogno che qualcuno si accorga che, fra turismo e cultura, ne avremmo per stare molto ma molto contenti.

La Mission. Passo fondamentale per definire il proprio brand

Ritorno sul Personal Branding con alcune considerazioni sulla “mission” e sullo “statement”. La frase che sottolinea ciò che facciamo.

Gli esperti di branding, per aiutare l’azienda a definire il proprio brand, creano una frase che chiarisce lo scopo del brand e che porta avanti la coscienza corporate. Il famoso claim, tanto per intendersi.

“Dove c’è Barilla c’è casa”.

“Coca Cola. To refresh a thirsty world”.

“Sony. To make dreams come true”.

Per le persone accade la stessa cosa. Solitamente chiedo loro di definire ciò che fanno in sette parole o anche meno. Il claim è qualcosa che deve diventare un motto. Deve essere corto, incisivo. “Aiutare le persone a raggiungere i loro obiettivi” è perfetto per un coach, per un formatore ma anche per un avvocato. Il claim deve diventare parte di noi, recitato, scritto e utilizzato come un mantra per superare le paure quando ci troviamo in situazioni critiche.

Consiglio sempre di stampare il proprio claim e di metterlo in bella vista leggendolo e rileggendolo. È vero che non sempre quello che chiediamo ci arriva e non sempre arriva come e quando lo abbiamo chiesto; ma qualcosa arriva e quel qualcosa ha molto a che fare con il nostro “statement”.

Un altro passo importante è la visualizzazione. Un metodo veloce e consigliato per realizzare i propri obiettivi è quello di creare un “quaderno degli obiettivi”. Un album speciale su cui scrivere tutto quello che si desidera realizzare professionalmente, fatto di ritagli di interviste a persone che ci ispirano, oppure di situazioni in cui ci piacerebbe stare. Perché tutto ciò che noi cerchiamo ci sta già cercando. Creare il proprio Personal Brand ha a che fare con la definizione degli obiettivi. Quanto voglio guadagnare? Quante ore al giorno voglio lavorare? Che tipo di ruolo voglio assumere? La domanda chiave da fare è se sto vivendo bene oppure no. Mi devo chiedere se la vita che sto facendo mi piace veramente, se mi appassiona. Se la risposta è no, allora devo resettare i miei obiettivi e definire i miei sogni.

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Leevia: le aziende fanno beneficenza risparmiando

Le aziende investono milioni di euro in beneficenza e ne spendono ben di più per far sapere che hanno fatto beneficenza. Questo problema è l’aspetto più dibattuto della  Corporate Social Responsability o marketing sociale. Per risolvere questo problema è nata Leevia, una giovanissima startup co-fondata all’interno del programma di InnovAction Lab 2013 da tre giovani visionari. E che ha suscitato un grandissimo interesse negli investitori presenti alla finale nazionale.

Leevia è una piattaforma di charity crowdfunding attraverso la quale le aziende possono sponsorizzare i progetti delle organizzazioni no-profit, trasformando in marketing l’intero importo delle donazioni attraverso meccanismi di gamification applicati alle donazioni. In pratica, gli utenti che non vogliono o non possono donare possono farlo, per esempio, guardando un video che al 95 per cento parla della no-profit a cui sono interessati e del suo progetto, e al 5 per cento dell’azienda che lo sta sponsorizzando attraverso una donazione.

Come vi è venuta l’idea?

L’idea è geniale. Le piccole onlus hanno un grande problema a raccogliere fondi e ad avere visibilità. Leevia risolve il problema raccogliendo fondi in maniera nuova e senza prendere commissione a chi presenta il progetto, bensì alle aziende che sponsorizzano.

Se si considera che in Italia la spesa per la Corporate Social Responsability di un’azienda di grosse dimensioni è di circa 120 mila euro all’anno, si capisce anche che Leevia è destinata ad un grosso successo. Le aziende con Leevia usufruiscono di sgravi fiscali maggiori perché effettuano a tutti gli effetti una sponsorship che Leevia trasforma in donazione attraverso un’azione di marketing. Così l’intera cifra che un’azienda destina al csr può essere girata alla no-profit, tranne il dieci per cento.

Mi chiedo se questo tipo di meccanismo possa essere applicato anche ad altri ambiti… Ad esempio, la Cultura.

Innamorati della Cultura. È nato un portale dedicato a chi la Cultura la ama attivamente

Ormai l’abbiamo capito. La Cultura in Italia è motore di sviluppo. Ma il nostro governo (e quelli precedenti) preferisce acquistare gli aerei da guerra piuttosto che investire nel suo patrimonio culturale. Un vero peccato, perché l’Italia grazie a questo tipo di politica miope è scivolata addirittura dietro alla Germania come luogo preferito dal turismo internazionale. Eppure, i dati delle ultime ricerche di mercato  dimostrano con chiarezza che per ogni euro speso in Cultura ne tornano indietro sette.

Abito da sempre a Torino e ho assistito personalmente alla sua grande trasformazione. Nei miei ricordi infantili c’è una città grigia, tetra, i cui ritmi di vita erano scanditi dalla FIAT. Poi, lentamente, le politiche illuminate di Comune e Regione hanno operato la trasformazione in quella Torino che oggi attira migliaia di turisti. Le Olimpiadi del 2006 hanno certamente aiutato. Passeggiare per il centro città di notte è un vero piacere. Luoghi come Venaria, il Museo Egizio, il Museo del Cinema sono attrazioni in grado di dare lavoro a centinaia di persone. Peccato che i soldi siano finiti. Ci sono state numerose proteste. Si è formato un comitato composto da quelle Associazioni che si sono viste negare il contributo. Si tratta di realtà minori che con la loro attività arricchiscono il territorio di eventi culturali, portando così un po’ di bellezza, una migliore qualità della vita e lavoro. Ho seguito queste vicende da vicino: molte parole e pochi fatti.

Da lì, l’idea di creare un portale che, attraverso una piattaforma di crowdfunding, possa raccogliere fondi dedicati a progetti culturali e di restauro di beni architettonici minori. La piattaforma è quasi pronta e la homepage – una demo – è online. Stiamo mettendo a punto le regole di partecipazione e da settembre inizieremo a selezionare i progetti. Una cosa mi è chiara: CulturaPiemonte è una risposta concreta. Uno strumento che, mi auguro, potrà dare energia ai molti progetti interessanti e innovativi che altrimenti resterebbero fermi, portando lavoro e denaro per il tramite di un processo virtuoso, democratico e totalmente trasparente. Importante. CulturaPiemonte, oltre che un portale, è un’Associazione No Profit. Chi è interessato e vuole sostenere il nostro lavoro lo può fare. Sul sito è riportato l’Iban. Grazie.

culturapiemonte.com

Intanto, vorrei condividere con voi questo video di Deloitte sul futuro del Crowdfunding:

E l’appello di Federculture alla politica:

Equity Crowdfunding. Varato il Regolamento Consob

Lo scorso venerdì 12 luglio, sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il regolamento definitivo sul crowdfunding, varato dalla Consob e riguardante la raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line.

Il regolamento si compone di 25 articoli ed è suddiviso in tre parti che trattano, rispettivamente: le disposizioni generali; il registro e la disciplina dei gestori di portali; la disciplina delle offerte tramite portali. Al testo sono poi allegate: le istruzioni per la presentazione della domanda di iscrizione nel registro dei gestori; lo schema della relazione sull’attività d’impresa e sulla struttura organizzativa; lo schema per la pubblicazione delle “Informazioni sulla singola offerta”, che comprendono, tra l’altro, un’Avvertenza, le informazioni sui rischi, sull’emittente, sugli strumenti finanziari e sull’offerta.

Finalmente esiste una legislazione che disciplina l’equity crowdfunding, dando così alle neo-imprese la possibilità di entrare nel mercato attraverso finanziamenti online, e “svolgendo quindi un appello al pubblico risparmio rivolto a un elevato numero di destinatari che nella prassi effettuano investimenti di modesta entità.”

Dopo aver introdotto questa possibilità nel decreto crescita-bis varato dal governo Monti, l’Italia è ora il primo paese in Europa a disporre di un quadro regolatorio sul tema. E concordo con Dettori sul fatto che sia un traguardo davvero importante per il nostro paese, perché ora possono cominciare a cambiare molte cose nelle prospettive dell’economia Italiana. Potrebbe davvero essere l’inizio di un processo di democratizzazione della finanza e se Consob riuscirà a far sviluppare un mercato ampio e sano, da oggi per le startup in Italia è cambiato tutto.

V’invito a leggere l’articolo di Gianluca Dettori su Che Futuro!

Ecco qui, invece, la scheda sintetica sui contenuti del Regolamento, e qui la delibera.

 

Collisioni. Dal sogno alla realtà

Barolo non è soltanto il luogo dove viene prodotto un vino eccezionale. Barolo è un luogo. Un paese abbarbicato su uno sperone circondato da vigneti disposti a formare un anfiteatro. A Barolo, provincia di Cuneo, c’è anche un castello, quello dei Marchesi Falletti. Da pochi anni, in estate, migliaia di persone si recano a Barolo per il Festival Collisioni.

“Ma non doveva esserci Giuseppe Tornatore qui?”. “No signora, adesso c’è Vidia Naipaul”. “Il Premio Nobel per la Letteratura? Allora resto!”.

Sotto al sole cocente il caldo morde cattivo, ma le persone sono comunque in coda per un concerto o una conferenza, non si arrendono. Io ho scelto Saviano. L’ho mancato al Salone del Libro, ma questa volta non me lo posso proprio perdere. Ovunque attorno a me persone allegre; il vino scorre leggero e la musica live è ovunque. Leggo che ci sarà un incontro – una collisione – fra tre band: Marta sui Tubi, Perturbazione e i Tre allegri ragazzi morti. E, infine, il concerto di chiusura con il rapper Fabri Fibra.

Ma perché Collisioni? Guardando in rete, scopro che le collisioni volute dagli organizzatori sono in realtà incontri e non,  come si potrebbe pensare, scontri. Arte e politica. Musica e letteratura. Tradizione e innovazione. Alla scena musicale si mescola quella letteraria, dove Vidia Naipaul e David Grossman raccontano di schiavitù e dolore, emozionandoci tutti fino alle lacrime. Il risultato oltre la crisi sono i 70.000 visitatori. Per un Festival nato come un incontro fra amici uniti dal sogno comune di creare un polo culturale permanente in Piemonte, capace di parlare a tutti, giovani e meno giovani, facendo incontrare la letteratura, il cinema e la musica nella cornice di un piccolo paese di collina tra assaggi di Barolo, offerte gastronomiche di primo livello e tanta  festa, beh, niente male.

E anche Saviano non è stato niente male. Sul palco di Collisioni ha presentato “Zero zero zero“, il suo nuovo libro edito da Feltrinelli. Posso dire che l’attesa ha superato ogni aspettativa e vorrei condividere con voi un estratto video dell’incontro con Saviano, che qui dialoga con i ragazzi del Progetto Giovani:

Definisci i tuoi sogni ed entra in azione. Personal Branding pratico per donne in carriera

Ho letto una quantità impressionante di manuali di self help. Invariabilmente, ad un certo punto, si arriva al capitolo dedicato agli obiettivi. Sto parlando dei sogni e delle aspirazioni, ovviamente.  Il mio insegnante di PNL sostiene che “se non sai quello che vuoi alla fine ti troverai dove non volevi andare”. È proprio vero.

Obiettivi ben definiti sin nel più piccolo dettaglio sono fondamentali per raggiungere il successo. Ricordo allora, visto che sto trattando un  aspetto del Personal Branding dedicato a noi donne, che ogni brand ha degli obiettivi ben definiti. Pochi lo dicono ma per noi addetti è cosa nota. Affinché un brand diventi un successo è necessario che soddisfi due padroni. L’azienda è il primo di questi due padroni. I clienti sono il secondo. Un esempio concreto: la nuova Mito deve dare profitto ad Alfa Romeo ma, allo stesso tempo, deve soddisfare la richiesta di sportività e facile guidabilità richiesta dai clienti.

Quando  questa  regola viene  applicate alla propria carriera, se si è in azienda i padroni sono i nostri dipendenti,  se si è liberi professionisti i padroni di riferimento sono i nostri clienti. Ecco perché se siamo libere professioniste è importante definire con estrema chiarezza i benefici che vogliamo per noi stesse. Essendo noi le nostre padrone, come intendiamo beneficiare del nostro brand? I sogni, si sa, possono avere dimensioni diverse. Ecco allora perché è estremamente importante, una volta fissati  i propri obiettivi, definirli in maniera tale da renderli misurabili. Questo semplice accorgimento ci permette di verificare l’andamento del nostro brand a mano a mano che il tempo passa.

Ecco alcun esempi di obiettivo. Vogliamo guadagnare 100.000 euro all’anno; vogliamo essere nominate vice-presidente della nostra azienda; vogliamo vincere un premio; vogliamo essere invitate a parlare ad una certa conferenza oppure scrivere un saggio che ci farà acquisire reputazione e visibilità.

Nelle aziende solitamente si assumono dei consulenti per definire le strategie. Nel caso nostro, saremo noi a dover definire che cosa fare  – e come farlo –  per raggiungere i nostri obiettivi.

Maria, per esempio, ha perso il suo lavoro nel settore finanziario e assicurativo di una grande banca. Ha 51 anni, molta esperienza e una grande paura per essere entrata a far parte del “popolo delle partite Iva”. Cosa fare? Maria, aiutata dalle domande chiave già presentate in un precedente articolo, arriva a definire i suoi punti di forza:

° precisa e puntuale;

° più economica del  consulente bancario e sempre a disposizione del cliente;

° eccellenti referenze;

° pratica dei principali programmi di investimento e del mercato di riferimento;

° in grado di recarsi dal cliente permettendogli di risparmiare tempo.

La descrizione del brand per Maria potrebbe essere scritta in questo modo.

Piccole e medie imprese si rivolgono a Maria per avere consulenza su assicurazioni, fondi di investimento, programmi pensionistici.  Un manager su cui fare affidamento per tutte le esigenze. ll punto di riferimento per manager indaffarati”.

La tagline di Maria diventa: “soluzioni finanziarie per piccole imprese”. Breve, preciso, efficace.

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Le email funzionano meglio di quello che si crede. Una lezione dalla campagna di Obama

Le email vengono bollate dalla maggior  parte dei Responsabili Comunicazione come strumenti vecchi, noiosi e un po’ sfigati. Niente di più sbagliato. Sarà che per anni ho scritto montagne di lettere destinate al direct, sarà che mi piace proprio scriverle, ma io nelle email ci credo fortemente.

Quando Obama ha iniziato la sua campagna elettorale, mi sono iscritta al sito presidenziale e, una volta diventata supporter, con grande curiosità e pazienza ho letto e schedato le centinaia di email che ogni giorno mi venivano inviate. Tutte regolarmente orientate alla raccolta di fondi. Una vera noia, penserà il profano. Una grande lezione di comunicazione, ho pensato io.

Che cosa c’è dietro a tutto questo? Perché è stato scelto un mezzo di comunicazione così obsoleto e, soprattutto, perché con questa scarsissima creatività dei testi? Conoscendo le tecniche utilizzate per il fundraising tradizionale, immagino che dietro questa scelta siano stati effettuati dei test. Alcuni test, come quello definito A/B, prova diverse versioni dello stesso messaggio per verificare sul pubblico qual è la risposta migliore.

In rete ho trovato risposta ad alcune mie domande. A quanto pare, lo staff di comunicazione ha inviato ogni messaggio almeno diciotto volte, testandone l’efficacia. Un esempio? Il saluto “Friend” è risultato il più gradito in assoluto accoppiato alla richiesta di denaro rispetto a “Hey”:

Friend —

My favorite campaign tradition started five years ago — check out the email below.

It’s just incredible how much we’ve grown — from 100,000 individual donors at that time to more than 3 million in this campaign alone — and how much we’ve accomplished together.

Tomorrow night, we’re selecting the guests for the last dinner of my last campaign. I’m looking forward to closing out this tradition the way it started: with supporters like you.

Trovo sottile che anche lo sfondo della mail abbia avuto la sua parte. Bianco andava bene, ma lo sfondo giallo ha generato sino al 20% in più di risposte positive, cioè aperture della email.

Il colpo di genio della campagna è stata senza dubbio la ripetitività del messaggio, contrariamente a quanto viene fatto per una campagna di raccolta fondi tradizionale. I testi approvati erano all’incirca quattrocento e, visto che il test dava come positivo l’invio massiccio delle email, la campagna di Obama si è basata su una regola semplice e banale: “più mail mandiamo, più fondi raccogliamo”. E così è stato.

La cifra richiesta, 3$, è stata pensata perché copre giusto i costi della transazione con la carta di credito. Questa semplice richiesta ha permesso di costruire enormi liste di nominativi e di far crescere nei supporter un forte senso di appartenenza: “Make a donation of $3 or whatever you can, and you’ll be automatically entered.”

I dati alla fine parlano chiaro. La campagna elettorale di Obama ha raccolto 15 milioni di dollari al mese online in primavera e più di 150 milioni di dollari in autunno. Il capo della comunicazione, Jim Messina, ha detto che il grafico del fundraising online somigliava ad un bastone da hockey.*

Personalmente, ho verificato l’utilizzo di diverse frasi: “Thankful every day”, “Do this for Michelle”, “Would love to meet you” e “Some scary numbers” a cui, nella fase più dura della campagna, è stato aggiunto “I will be outspent”, frase che ha raccolto da sola 2.6 milioni di $. In Italia sarebbe impensabile.

Siamo tutti Supporter.

Le email che ho ricevuto, a mano a mano che si entrava nel vivo della campagna, avevano un tono sempre più coinvolgente ed entusiasta. Come supporter sono stata invitata e sollecitata non solo a donare, ma anche a coinvolgere il più alto numero di persone di mia conoscenza affinché donassero e partecipassero. Ad un certo punto ho persino iniziato a ricevere mail personalizzate. Questo particolare punto della campagna elettorale è stato battezzato da Messina “Airwolf”, in onore di una nota serie televisiva degli anni ’80.

In pratica, i dati forniti dai supporter sono stati elaborati e le mail inviate avevano un elevatissimo grado di personalizzazione. L’effetto “grande famiglia” è stato grandioso, permettendo così di gestire centinaia di migliaia di nominativi come se le comunicazioni fossero inviate dal vicino di casa.

Adesso toccherebbe a noi italiani. L’assenza di finanziamenti pubblici ai partiti rende questa tecnicità estremamente interessante.

*Jonathan Alter.