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Matera Capitale della Cultura 2019: Mammamiaaa!

Mammamiaaa! Cene social, con i piatti della tradizione.  Si presenta con questi claim il progetto vincitore promosso dall’architetto Andrea Paoletti e nato dal fortunato connubio fra Case Netural e la Fondazione Matera Basilicata.

Che cos’è Mammamiaaa? Facile da definire. Mammamiaaa è frizzante, divertente, inclusiva, golosa, innovativa e tradizionale allo stesso tempo. E’ un sistema di cene social distribuite in giro per tutta l’Italia e accomunate da un unico e fondamentale ingrediente: una ricetta di famiglia.

Obiettivo? Costruire una comunità di #innamoratidelciboitaliano…slurp!  Chiunque può partecipare purchè possieda una ricetta tramandata e abbia voglia di farla assaporare a parenti e  amici.

La scelta è libera fra pranzo, merenda o cena. Il pasto viene preparato e servito rigorosamente in casa dell’aspirante chef. E poi? Poi si entra a far parte dell’archivio digitale di Mammamiaaa inviando il filmato dell’assaggio e documentando la propria partecipazione.

Mammamiaaa. Andrea Paoletti founder e un gruppo di aspiranti chef

Con la cultura si mangia?

Mammamiaaa arriva  a Matera nei primi mesi del 2018, precisamente a Case Netural (una casa nel cuore di Matera in cui persone da tutto il mondo possono convivere, lavorare, incontrarsi,creare e innovare)  con un’installazione curata da John Thackara intititolata  “Atlas of Social Food” , un progetto in tre portate: un atlante di progetti sociali legati al cibo, un forum di social food curator europei per condividere buone pratiche e la pubblicazione di un Social Food Green Paper. http://www.fao.org/family-farming/detail/en/c/879668/

cene tradizionali in casa: il piacere delle relazioni autentiche

A settembre 2018, Mammamiaaa organizza la sua prima  grande cena di piatti di famiglia pensata per  creare un ponte tra generazioni attraverso la tradizione culinaria,  per raccontare le storie di queste terre e infine  per celebrare i meravigliosi modi in cui le comunità producono, consumano e si occupano del cibo nella loro vita quotidiana.

Habemus sponsor

Andrea Paoletti è un uomo dalle mille risorse.  Mammamiaa ha infatti trovato un partner che accompagnerà il progetto nel suo viaggio in lungo e in largo attraverso  la penisola . Si tratta della famosa marca di alimenti biologici Alce Nero. Il messaggio è chiaro. Mammamiaaa! con le sue cene porta con sé valori e tradizioni da tramandare, così come il cibo, se la materia prima è coltivata con metodo biologico e amore, porta il sapore originale della terra.

Per premiare la voglia di riunirsi attorno alla stessa tavola, raccontarsi e stare insieme, Alce Nero dona un buono sconto del 15% sulla spesa on line a tutti gli organizzatori di cene. Un motivo in più per ospitare a casa propria tanti amici e far diventare le ricette di famiglia un bene comune.

 

Redazione  www.innamoratidellacultura.it

Le piattaforme partecipative possono aiutare la cultura italiana a trovare nuove forme di sostentamento

www.innamoratidellacultura.it è una piattaforma di crowdfunding nata per consentire a tutti di diventare un mecenate della cultura.

L’idea di aprire una piattaforma verticalizzata in questo settore specifico nasce dall’analisi di tre osservazioni: in primo luogo, la necessità delle organizzazioni culturali di trovare nuove fonti di finanziamento in un contesto di restrizioni fiscali. In secondo luogo, la necessità di far conoscere il proprio progetto ad un numero ampio di persone in presenza di budget ridotti – se non addirittura inesistenti – per la comunicazione. In terzo luogo, verificare la propria offerta direttamente sull’utente finale il cui gradimento o meno determina anche il successo o meno dell’iniziativa stessa.


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Il meccanismo della piattaforma è semplice. Il portale è a tutti gli effetti una vetrina digitale offerta al progettista  il quale può arricchire il suo spazio web con immagini, video, un testo descrittivo e un’offerta di ricompense pensate per chi dona. Questo se si tratta di iniziative private.  In questo caso la ricevuta fiscale per la donazione effettuata potrà essere dedotta solo se chi la emette  ha una ragione sociale che lo consente  E’ il caso delle fondazioni culturali e delle associazioni. Un passo avanti, che potrebbe interessare sia i cittadini che le imprese, è il nuovo sistema di  sgravio introdotto con l’ArtBonus. Che riguarda però solo i beni di proprietà pubblica.

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Analizzando il sito ministeriale www.artbonus.it, è possibile scorrere l’elenco dei beni da restaurare e mantenere. Una vetrina statica su cui le donazioni già effettuate vengono riportate senza indicare i nominativi di chi ha donato. Questo non ci piace molto, così come non ci piace leggere : richiesta =120.000 ; raccolti = 120.000.  Le piattaforme di crowdfunding sono trasparenti. Chi dona vede subito apparire il suo nome ( o nickname) di fianco alla donazione effettuata. Questo, in un paese dove la mancanza di trasparenza regna sovrana, è un grande incentivo per chi vuole contribuire.

students at a further education college

students at a further education college

La differenza fondamentale fra un sito come www.innamoratidellacultura.it e www.artbonus.it è la comunicazione. Chi pubblica una campagna per realizzare un crowdfunding è tenuto a comunicare il suo progetto in qualsiasi modo possa essere utile a raccogliere il denaro. Perché questo avvenga con maggiore facilità, offre delle ricompense in cambio del denaro ottenuto.

Chi pubblica un bene da restaurare sul sito ArtBonus, non comunica un progetto, chiede denaro in cambio di uno sgravio fiscale. Si tratta non più di partecipazione attiva bensì di mecenatismo. Non so se è meglio l’una o l’altra modalità. Quello che posso pensare istintivamente è che l’ArtBonus sia  uno strumento intelligente ma per niente sexy perché  non aiuta le persone a sentirsi partecipi di  qualcosa.

Nel crowdfunding  è chiaro che le persone vengono attirate dal progetto. Se il progetto è forte le donazioni arrivano. Prova ne è che i beni sostenuti in Italia sino ad oggi grazie all’ArtBonus sono quelli più cool: il teatro della Scala di Milano, l’Arena di Verona.

immagine idc annuncioAbbiamo deciso di chiamarci “innamoratidellacultura” perché donare per la cultura è un vero e proprio gesto d’amore. La donazione per un restauro parte dal cuore, non dal portafoglio, anche se poi è da lì che arriva il supporto al progetto. Il nostro logo è un piccolo cuore rosso.  Puoi innamorarti di un progetto o essere innamorato della cultura. Di fatto, fai parte di una comunità di persone attente e sensibili a tutto ciò che di bello viene prodotto nel nostro paese.

La piattaforma www.innamoratidellacultura.it non accoglie tutte le campagne. Da quando siamo andati online ad oggi abbiamo effettuato una accurata selezione dei progetti. Per tipologia, area geografica, importo richiesto, ragione sociale del progettista. Non nascondo di aver condotto analisi continuamente. Stiamo creando una procedura basata sugli errori che consenta alle campagne di avere più successo. Anche questo fa parte della filosofia dell’attenzione nei confronti delle persone che deve rimanere il punto centrale del lavoro. Tutto il crowdfunding ha a che fare con le persone. Chi pensa che si tratti solo di denaro sbaglia. Il denaro c’è ma come elemento fondante.

Penso che www.innamoratidellacultura.it  dovrebbe ospitare i progetti pubblicati su www.artbonus  riconvertiti in campagne di crowdfunding  vere e proprie per consentire alle persone – e non solo alle aziende – di entrare a fare parte di un grande processo di recupero del paese. Quello che manca, nel privato come nel pubblico, è la capacità di realizzare queste campagne.

Nel nostro “percorso ad errori” abbiamo costruito un team in grado di supportare i vari aspetti preparatori e di comunicazione della campagna. Quello che troviamo sempre difficile da far comprendere ai progettisti è che questo lavoro strategico ha un costo iniziale. Che  viene ammortizzato con la campagna, ma che comunque c’è e va considerato.

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Il crowdfunding non è solo una forma alternativa- aggiuntiva? – di finanziamento. E’ uno strumento che i responsabili dei progetti culturali, istituzioni, grandi imprese culturali devono prendere in considerazione come parte di una strategia di comunicazione e di finanziamento. Le  due cose vanno insieme.

Cosa manca? Formazione e informazione. Incentivare va bene ma la vera sfida sociale a cui tutti noi siamo sottoposti a tutti i livelli è insegnare alle persone a partecipare e condividere.

Emanuela Negro-Ferrero

enf@innamoratidellacultura

Il governo italiano, unico e primo in tutto il mondo, ha deciso di legiferare sulla sharing economy. Teniamoci forte ragazzi.

La strada da percorrere si spera sia ancora lunga. Come parte in causa, auspico che il governo italiano, specializzato in bisticci grotteschi su qualsiasi argomento, si prenda il giusto tempo per

a) mettere a fuoco che cosa è esattamente il fenomeno definito come “sharing economy”

b) realizzi che mettere un freno ad un comparto che sta dando, e ha già dato, lavoro a migliaia di persone che attualmente si trovano senza lavoro proprio grazie all’insipienza del governo stesso, non attrae il consenso popolare. Anzi.
In qualità di gestore di una piattaforma di crowdfunding, ho festeggiato insieme a molti colleghi la recente notizia dello “sblocco” del crowdfunding di tipo equity da parte della Consob. Alleluia. L’ente, quando ancora nessuno in Italia sapeva nemmeno cosa fosse l’equity crowdfunding, ha prudentemente e italianamente deciso di “ingessarlo” con norme e regole favorevoli solo al mondo bancario con il risultato che, se nell’intero pianeta il crowdfunding di tipo “equity” è esploso, da noi no. Complimenti al genio. Spero  che non succeda lo stesso con questa idea di regolamentare la sharing economy ma i presupposti non fanno pensare bene. Mi sembra di capire che il punto nodale per il governo italiano, desideroso di tassare chiunque e qualsiasi cosa, sia quello stabilire la differenza fra sistemi che si fondano sull’idea di condivisione di beni e servizi rispetto a forme di business vere e proprie,

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Il “Sharing Economy Act” è una proposta di legge presentata nei giorni scorsi da un gruppo di parlamentari appartenenti all’Intergruppo “Innovazione” . Lo scopo è quello di «disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi» e di «promuovere l’economia della condivisione». Sulla carta sembra tutto chiaro. Nutro però il terribile sospetto che questo gruppo di volenterosi paladini governativi non abbia la minima nozione del’argomento. Disquisire di “sharing economy”, cioè di “economia collaborativa” tanto per usare l’italiano e farsi capire da tutti, non è cosa affatto semplice né risolvibile in quattro e quattro otto.
Il principio che governa la “sharing economy “ è la condivisione di beni e di servizi con alla base una logica di scambio e condivisione fra le persone. Tutti noi conosciamo e amiamo BlaBlaCar che ci consente di condividere i nostri viaggi con altre persone che, oltre ad aiutarci a sostenere i costi della trasferta ci offrono la possibilità di viaggiare in compagnia e di ridurre il quantitativo di veicoli in circolazione. La piattaforma Zoopa ci permette di generare video, campagne virali, loghi grazie a un sistema di “crowdsourcing” grazie cioè ad una rete di professionisti che mettono la loro professionalità a disposizione ad un prezzo più basso e con un’offerta creativa decisamente più alta. Ci sono poi i progetti open source come, per esempio, WordPress dove moltitudini di sviluppatori mettono le loro conoscenze al servizio della comunità. Ma un piattaforma open source è ben diversa da un’esperienza di car, food o house sharing . L’indagine IPSOSdel 2014, difatti, ha evidenziato come l’adesione all’economia collaborativa non ruoti esclusivamente attorno a motivazioni individuali – come i possibili benefici economici, ma anche al desiderio di contribuire ai bisogni della propria collettività di appartenenza, una forma di adesione a un sistema valoriale condiviso.
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In questo senso moltissimo è stato fatto in diversi ambiti: i FabLab sono laboratori aperti alla produzione collaborativa attrezzati con macchinari e strumenti come stampanti 3D dove chiunque può andare ad auto fabbricare qualunque cosa . Nei cowoorking viene condiviso lo spazio di lavoro e le persone possono aggregare competenze diverse senza essere collegate da vicoli contrattuali.
Ma la collaborazione attiene anche all’ambito del consumo, grazie allo sviluppo di piattaforme e realtà innovative che hanno applicato i principi peer-to-peer a sistemi tradizionali come il baratto, la donazione o lo scambio. Pensate alle piattaforme di crowdfunding, di social eating, di co-housing.
Il punto comune per qualsiasi settore collaborativo -e che sta alla base di tutti questi sistemi – si fonda su di un principio ben preciso che è quello del trasferimento di qualcosa. Questo trasferimento può essere inteso come una forma di scambio o condivisione: ho un’idea, un abito, una casa, un’auto, una barca, un talento e lo metto in comune o lo scambio un’altra persona oppure lo cambio con un altro bene e servizio.
Ci sono poi delle forme di sharing economy dove la collaborazione è un modo per definire nuove forme di mercato che tendono a riprodurre relazioni non necessariamente dissimili da quelle dei mercati tradizionali. Mi riferisco ad aziende che, a fronte di un costo di transazione, mettono in contatto la persona che ha una risorsa (una casa, per esempio ) con un’altra persona che non ce l’ha. Questo tipo di condivisione genera dei profitti (Uber, tanto per intendersi) e si basa sul principio di utilizzo in condivisione di qualcosa che già si possiede, senza quindi una produzione di beni o di servizi. In questo caso la collaborazione si basa sull’accesso alla proprietà e non ha niente a che vedere con lo scambio. Siti come HomeExchange mettono in comune un bene senza che ci sia la possibilità da parte di qualcuno di trarre guadagno da questo scambio.

sharing economy

Il punto che confonde i parlamentari del gruppo “Innovazione “, nei confronti di aziende come, per esempio,  “Gnammo” è: organizzare un pasto in casa propria con altri utenti chiedendo in cambio un rimborso sui costi sostenuti è un modo per socializzare oppure è un modo pratico per farsi un vero e proprio ristorante in casa guadagnando? E chi guadagna è un libero professionista o è un dipendente? Bei quesiti davvero.
Per  realtà come AirBnb e Uber si può parlare di economia dello scambio mascherata però da sharing economy.
Queste aziende americane non solo fanno enormi fatturati, ma stanno creando una nuova economia di lavoratori “a rimborso spese” che non sono regolamentati né tassati e lavorano senza alcuna copertura assicurativa e, spauracchio italiano, senza tutela da parte dei sindacati. Ed è qui che il gruppo di parlamentari del gruppo “innovazione” ha deciso di andare a legiferare.
Personalmente penso che la sharing economy non vada fermata ma, al contrario implementata con una chiara suddivisione fra la rental economy mascherata da “economia collaborativa” e la autentica “sharing economy”. La proposta di legge del 2 marzo scorso prevede che un utente che arrotonda i suoi introiti affittando stanze, organizzando cene oppure offrendo passaggi con la sua automobile debba pagare una imposta del 10% se i suoi guadagni non superano la cifra dei 10 mila euro all’anno. Superata tale cifra, gli introiti verranno considerati redditi veri e propri e andranno sommati agli altri redditi percepiti. Questo significa che aziende come AirBnb dovranno devono aprire una sede in Italia e comunicare i dati all’Agenzia delle Entrate sulle transazioni economiche tra i propri utenti e che queste transazioni , d’ora in poi, potranno avvenire solamente per vie elettroniche. Ecco qua servito il solito vespaio all’italiana. La proposta avanzata dai nostri prodi parlamentari non spiega perché si debba applicare la medesima aliquota per un passaggio offerto con BlaBlaCar oppure per l’ affitto di una stanza su AirBnb. Anche se i costi di gestione dei beni possano essere molto simili – l’usura della macchina in un caso, le spese vive nel caso dell’affitto di una stanza (tasse, pulizia, manutenzione) –si tratta di due realtà con finalità profondamente diverse. BlaBlaCar è un sistema di trasferimento della proprietà su un bene limitato – io ti offro un passaggio, tu mi rimborsi le spese. AirBnb, invece, è un sistema di accesso alla proprietà che funziona come un vero e proprio contratto di affitto. E’ evidente che gli utenti di BlaBlarCar avrebbero poca convenienza ad usare la piattaforma e quindi il guadagno aggiuntivo e relativo mercato verrebbe affossato.Sto già battendo le mani. La legge infatti propone di istituire un modello fiscale centralizzato per le multinazionali . Questo rischia di apparire deleterio nel caso di servizi online decentralizzati che nascono dal basso e si fondano sui principi dell’economia collaborativa. E proprio il caso di dire, mamma mia!

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La legge inoltre, pur preoccupandosi di tassare i lavoratori freelance che superano certe soglie di reddito ponendo come discrimine i redditi superiori ai 10 mila euro, non indica nulla relativamente ai temi previdenziali o dei diritti di questi lavoratori. Intanto , come si legge sul Manifesto, i quarantasette pilastri dell’economia collaborativa e della condivisione, Uber e Airbnb in testa, hanno scritto una lettera al presidente dell’Unione Europea per sottolinere la loro contrarietà a qualsiasi legge che limiti l’economia collaborativa. Staremo a vedere ma, se l’obiettivo è solo quello di tassare e tartassare, suggerisco ai nostri parlamentari del gruppo “Innovazione” un giretto nel floridissimo mercato dei portali di gioco d’azzardo e pornografia. Tutti rigorosamente con sede all’estero. Tutti esentasse. Due pesi e due misure? Un esempio di perfetto italian style. Quello che tutto il mondo ci invidia?

Emanuela Negro-Ferrero –ceo – www.innamoratidellacultura.it

Metti una sera a Milano. Al meeting delle piattaforme collaborative.

Dalla casa all’orto, dalla macchina ai vestiti, dalle competenze al tempo, oggi in rete si condivide e si scambia di tutto. Sempre più persone, infatti, si incontrano attraverso servizi collaborativi digitali

Dalla casa all’orto, dalla macchina ai vestiti, dalle competenze al tempo, oggi in rete si condivide e si scambia di tutto. Sempre più persone, infatti, si incontrano attraverso servizi collaborativi digitali

Dalla casa all’orto, dalla macchina ai vestiti, dalle competenze al tempo, oggi in rete si condivide e si scambia di tutto. Sempre più persone, infatti, si incontrano attraverso servizi collaborativi digitali come Airbnb, Etsy, TaskRabbit, Prestiamoci, TheHub, che mettono direttamente in contatto le persone ed eliminano l’intermediazione delle strutture commerciali, finanziarie, istituzionali tradizionali, proponendo nuovi modelli di consumo. C’è chi fa rientrare questi servizi all’interno di un movimento chiamato consumo collaborativo, e chi dentro a un concetto più ampio che è quello dell’economia della condivisione ma comunque li si voglia chiamare sono servizi che, pur nella loro diversità, hanno dei valori e delle modalità operative comuni e che prediligono l’accesso al bene invece della proprietà, la fiducia invece della diffidenza, la filiera corta come alternativa a quella lunga e così via. Figli della crisi economica e delle tecnologie digitali, questi servizi oggi sono in forte crescita e aprono opportunità per gli individui e per la società intera….

Il libro pubblicato da Hoepli di Marta Maineri, co- fondatrice di Collaboriamo, racconta con parole semplici quello che sta avvenendo in ogni paese civilizzato del mondo. In Italia molto si sta facendo e molto si muove. Innamoratidellacultura fa parte a pieno titolo del movimento definito  sharing economy .

Ci siamo  ritagliati una serata a Milano per partecipare all-aperitivo dedicato alle piattaforme collaborative. Un’-occasione unica per conoscere chi, come noi, ha deciso di mettersi al servizio della società proponendo nuovi strumenti  e servizi. Tutti in condivisione. Il principio e’ semplice, basato su principi di scambio e condivisione. I progetti e le idee presentate alla serata erano tutte diverse.

Un paio di piattaforme di crowdfunding, oltre alla nostra, ma di tipo equity come, per esempio, Fidalo hanno subito attratto la nostra attenzione. E’ stata una serata  molto   interessante. Collaboriamo ha lanciato diversi servizi utili per le piattaforme collaborative. Ecco un elenco: fantastica assistenza legale, mentoring e tutoring per accesso ai bandi e ai finanziamenti. Insomma, aria nuova. Il tutto ospitato in uno spazio very cool., il co- working Avanzi di Via Ampere, zona Politecnico.  Atmosfera milanese, frizzante. Siamo tornata a Torino con una sensazione di grande leggerezza. Il futuro è adesso. Noi siamo il futuro.

Redazione – www.inamoratidellacultura.it

 

 

Una serata dedicata alla RESPONSaBILITY. A seguire, spettacolo.

 L’idea di Andrea Roccioletti, un dibattito aperto sul tema della resposnabilità ha preso vita grazie alla perfetta organizzazione e creatività di Cristina Pistoletto ieri sera alle Officine Kaos, storica sede di Stalker Teatro


L’idea di Andrea Roccioletti, un dibattito aperto sul tema della resposnabilità ha preso vita grazie alla perfetta organizzazione e creatività di Cristina Pistoletto ieri sera alle Officine Kaos, storica sede di Stalker Teatro

L’idea di Andrea Roccioletti, un dibattito aperto sul tema della responsbilità  ha preso vita grazie alla perfetta organizzazione e creatività di Cristina Pistoletto ieri sera alle Officine Kaos, storica sede di Stalker Teatro. Otto relatori: Michelangelo Pistoletto, Antonella Parigi, Cesare Verona, Luca Bonfante, Paolo Turati, Emanuela Negro -Ferrero per Innamoratidellacultura e Marco Regoli. Ognuno ha portato testimonianza del suo specifico settore. Economico per Turati, impresa per Verona, artistico per il Maestro Pistoletto, politico per Parigi, scientifico per Bonfanti. A  noi e  a Marco Regoli è toccata la parte relativa alla sharing economy.

Perché parlare di sharing economy in un  convegno dedicato alla responsabilità? Subito un po’ di dati. Oggi infatti, si è tenuto a Roma, a Montecitorio,  il  primo convegno dedicato interamente alla sharing economy. Ormai sono 138 le piattaforme collaborative che operano in Italia, divise in 11 diversi ambiti tra i quali i più interessanti sono il crowdfunding (con il 30% delle piattaforme), i beni di consumo (20%) i trasporti (12%), il turismo (10%), il mondo del lavoro (9%). E’ quanto emerge da una ricerca curata da Collaboriamo.org in partnership con PHD Media.Ma perché  questa grande diffusione della sharing economy?

La sharing economy fornisce delle risposte a delle precise necessità determinando nuovi modelli.

La sharing economy fornisce delle risposte a delle precise necessità determinando nuovi modelli.

E come avviene il meccanismo della sharing economy? Dal basso. La spinta parte dal basso e, nel caso di grandi multinazionali ex startup che stanno crescendo a dismisura, la spinta parte dal basso e si allarga in orizzonatale . In Italia, una recente ricerca di Collaboriamo.org determina un 10% di utenti attivi.  Pochi per formare una massa critica ma i dati dimostrano di essere in costante crescita. E’proprio questa disposizione alla condivisione e allo scambio che ho portato alla realizzazione del  convegno. La sharing economy fornisce delle risposte a delle precise necessità determinando nuovi modelli. Marco Regoli, rappresentante del “food sharing “ ha illustrato molto bene come, attraverso la condivisione del cibo – avanzato, gettato via, inutilizzato – sia possibile vivere ad impatto zero e senza sprechi. Si pensi al turismo. Oggi grazie ai servizi di sharing economy è possibile visitare un luogo dormendo e mangiando a casa di cittadini del posto e da loro poi essere guidati in tour alternativi per la città. Questo permette al visitatore di accedere ad un’offerta pressoché smisurata, all’interno della quale è possibile scegliere il proprio percorso costruito su misura.Lo stesso modello del food sharing, del crowdfunding, del co- working, del car- sharing può, inoltre, essere adottato anche dalle aziende. Il coinvolgimento diretto dei cittadini nei processi aziendali (per esempio, nella definizione di prodotti e servizi, nella logistica, nell’efficientamento dei servizi stessi), permette di monitorarne i bisogni, ridurre i costi e i rischi, creare nuovi servizi e disporre di un numero infinito di collaboratori.Il convegno è stato ricchissimo di contenuti e nutriente per lo  spirito. Venti spettatori hanno deciso, terminata la conferenza,  di proseguire il percorso frequentando un laboratorio della durata di una settimana. Alla fine della quale metteranno in scena uno spettacolo. Perchè l’arte è vera. Il Terzo Paradiso lo costruiamo noi, ogni giorno, ogni stante. cone le nostre idee, emozioni e pensieri. Con piena responsabilità di esseri umani.

Redazione – www.innamoratidellacultura.it

UBER. Il trionfo della sharing economy: funziona!

Scegliere l'auto per passsaggi in città pagando con il proprio smartphone: è Uber!

Scegliere l’auto per passsaggi in città pagando con il proprio smartphone: è Uber!

Prima ancora che fosse possibile utilizzare Uber  avevo già scaricato l’app e attendevamo  con pazienza che le rivolte dei taxisti si placassero. E finalmente Uber è diventato disponibile. Non senza danni perché a Genova, il primo autista Uber è stato prontamente punito con il sequestro del veicolo. Perché se da un lato tutti invochiamo il cambiamento, da un altro versante quando il cambiamento ci tocca in prima persona allora non siamo più d’accordo. Mi riferisco ai taxisti che  hanno pagato la loro licenza prezzi assurdi e oggi si trovano improvvisamente a dover lottare con una concorrenza difficile da surclassare. Innanzi tutto perché Uber costa meno. Poi è friendly.  Vedi in faccia il tuo autista. Paghi con la carta di credito. Subito. Velocemente. Senza perdere tempo o avere problemi con il resto.

Ma che cos’è Uber? Uber nasce a San Francisco e  offre un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione software mobile che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. Uber oggi è presente in decine di città del mondo.Anche a Milano e, anche a Torino! Dalla app è possibile prenotare l’auto ma  anche inviando un messaggio. Il costo di Uber è più basso rispetto a quello dei taxi tradizionali e  viene  calcolato in base alla distanza percorsa (se la velocità è maggiore a 17 km/h), o in base al tempo trascorso (se la velocità è minore della soglia appena citata). La cosa che  piace è il pagamento diretto all’azienda e non al taxista. Niente resti da dare che non ci sono mai gli spiccioli, niente ricevute a mano, massima puntualità. Leggevamo  ieri su La Stampa che i taxisti dicono che le auto sono usate e vecchie. E allora? E’ bella l’idea di entrare nella macchina di un altro. Ci piace pensare che la sharing economy di cui tutti parliamo sia finalmente arrivata. A Helsinky entro il 2020 non ci saranno più auto. Hanno risolto il problema alla radice. Auto condivise, poche, bici molte e minibus a chiamata libera e percorso regolato da un sistema informatizzato. Tu scrivi sul sito dove vuoi andare  e quando  ci vuoi andare e il sistema ti indica dove il bus ti passa a prendere e ti porta. In Italia ce la faremo ad abbattere il mito dell’auto personale in favore di una maggiore qualità dell’aria, silenzio e risparmio? Dai.

Redazione – www.innamoratidellacultura.it

A cena con GNAMMO e i cuochi di Cucina-To

Lunedì sera sono andata alla cena organizzata da Gnammo alla Fondazione Fitzcarraldo in occasione del Digital Food Days.

Che cos’è Gnammo? È un social per mangiatori, un luogo in cui è possibile condividere le proprie abilità culinarie e la passione per il cibo. Offre a tutti – appassionati di cucina e cuochi professionisti – la possibilità di organizzare pranzi, cene ed eventi a casa propria, mettere alla prova la bravura ai fornelli e conoscere nuovi amici. Su Gnammo si può essere iscritti come Cuoco o come Gnammer. Il Cuoco crea menù, organizza eventi e li pubblicizza su Gnammo, poi riceve adesioni da parte degli Gnammer, decide se accettare o meno uno Gnammer in base ai giudizi ricevuti, e si mette ai fornelli. Lo Gnammer cerca posti in cui mangiare: può farlo da casa o in viaggio, in anticipo o “al volo”.

In qualità di Gnammer, sono andata quindi a provare i cuochi di Cucina-To alla Fondazione Fitzcarraldo. Non si trattava di cucina digitale, perché Cucina-To è una piccola gastronomia artigianale fondata da tre ragazzi laureati all’Università di Pollenzo; produce piatti pronti di qualità, cucinati con materie prime fresche e stagionali, coltivate ed allevate da produttori attenti al benessere dell’uomo, al rispetto degli animali e dell’ambiente.

Alcune considerazioni sulla cena e sulla comunicazione. La location: Fondazione Fitzcarraldo ha sede nella ex Tobler: un angolo di paradiso in mezzo al Bronx. La cena è stata imbandita nella sala riunioni: una sede inconsueta ma divertente. Peccato la lunga tavolata non abbia permesso di socializzare con le “ali” estreme del tavolo. Gnammo organizza cene social: allora perché non in piedi con possibilità di scambiare il commensale a lato? Personalmente detesto le cene ad effetto matrimonio e non amo il menù fisso con obbligo di mangiare tutto, ma la cena è stata ottima, servita con cura e certamente cucinata con passione. Ogni ingrediente “raccontato” e poi, fa la differenza sapere da dove arrivano le fragole che mangi.